Perdonare il “fratello” che sbaglia, questa è la sfida che oggi siamo chiamati ad affrontare: un leitmotiv che ci accompagna fin dagli albori del tempo e che oggi è sentito ancora di più a causa di un sempre più accentuato individualismo. Traendo spunto dalla parabola del Padre misericordioso, ho provato ad evidenziare quanto sia attuale questa sfida e quanto sia difficile accettare l’invito ad entrare a far festa (Lc 15, 28) quando riteniamo che il fratello prodigo ha sbagliato. La grande misericordia di Dio, che abbraccia tutta l’umanità, per usare l’espressione di Papa Francesco, è vista come una bella teoria; quando ci è tuttavia chiesto di metterla in pratica, tanti ostacoli pseudo-religiosi, sia inconsci che logici, si interpongono tra noi e la decisione. Con questo scritto, lungi dal pormi come colui che indica “la verità”, intendo, molto più modestamente, condividere l’esito di un mio personale percorso fatto di dubbi, inquietudini e interrogativi suscitati dall’aver recepito le espressioni di Papa Francesco quali “Chiesa in uscita” o “Chiesa ospedale da campo”, parole che mi hanno indotto a pormi in discussione in prima persona e che mi hanno aiutato a trovare, alla fine di questo percorso, quella che sento essere l’unica via per vincere questa sfida e guarire da questa sindrome: affrontare lo sguardo amorevole del Padre misericordioso e lasciarsi amare e abbracciare. Diversamente, rischiamo di fare una corretta anamnesi della malattia, ma di ritrovarci con il paziente – noi stessi – che non ce l’ha fatta. In questo cammino mi è stato sicuramente di guida il magistero degli ultimi tre papi. Ma non solo.
È un testo veramente raro in quanto attraverso dei semplici, ma efficaci passaggi, riesce a farti soffermare e riflettere sul nostro “pressapochismo”, comportamento quotidiano dove l’unico obbiettivo è mettersi in mostra e farsi strada, evitando il confronto e la discussione con chi ci circonda. Dove, così come accade in molte famiglie, ci sentiamo tutti fratelli minori di qualcuno che marchiamo come fratello maggiore ed al quale attribuiamo la colpa di tutto ciò che reputiamo essere nostro, ma la vita, in qualche modo ci ha sottratto. In conclusione, quindi, esorto ciascuno di noi a riconoscerci nel sentimento della fratellanza, improntando il nostro essere alla conversione ed all’apertura leale e sincera del vivere quotidiano, altrimenti, riprendendo testuali parole, potremmo definirci come colui … “che chi si riconosce imperfetto vede Dio, mentre chi si crede perfetto vede il trono, ma non chi vi è seduto!” … . Nel ringraziarti per avermi fatto capire ancora una volta che riconoscersi bisognosi di guarire è il primo passo per la guarigione, esorto chiunque a dedicarsi a questa piacevolissima lettura, sicuramente lezione di vita per ciascuno di noi !